Io ricordo e tu? opuscolo della Lega Nazionale
La Lega Nazionale ed il Comitato 10 Febbraio presentano l'opuscolo:
(liberamente stampabile o distribuibile)
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ANCHE GLI SLOVENI VITTIME DELL'OZNA
L’avv. Paolo Sardos Albertini, Presidente della Lega Nazionale e del Comitato Martiri delle Foibe, ha commentato l’articolo apparso su “Il Piccolo”, a firma di Mauro Manzin, dal quale risultano le dimensioni di vero e proprio eccidio di massa commesso dai partigiani di Tito a danni della popolazione slovena: decine e decine di migliaia di assassinati, le cui povere salme sono ancora in buona parte in attesa di un sepoltura.
E’ evidente che le vittime slovene del Maresciallo sono state più di quelle italiane. Ciò conferma che la tragedia delle Foibe deve essere letta in termini di “genocidio ideologico”, piuttosto che di pulizia etnica o di conflitto tra nazionalismi (come in molti ancora si ostinano a fare).
La realtà vera è che Tito, nel realizzare la sua rivoluzione comunista, ha distribuito a mani basse il terrore targato OZNA: a danno degli sloveni come degli italiani, dei croati come dei serbi . Il tutto in nome della tragica logica del terrore, su cui andava a costruire il suo nuovo stato.
E’ questa una analisi che emerge , con assoluta chiarezza , dai lavori sull’OZNA di William Klinger, il giovane storico fiumano di recente e tragicamente assassinato a New York.
Avv. Paolo Sardos Albertini
Presidente della Lega Nazionale e del Comitato per i Martiri delle Foibe
L'ELENCO DEI MILLE DEPORATI DA GORIZIA IN SLOVENIA NEL 1945:
Agenti Pubblica sicurezza
Accampora Pasquale, nato a Resina (Napoli); Adamo Emilio, nato a Ripi (Frosinone); Adamo Gennaro, nato a Pozzuoli (Napoli); Anfuso Aurelio, nato a Castelferrato (Enna); Anzaloni Bruno, nato a S. Agata Bolognese; Antuoro Guido, nato a Versano (Napoli); Aurisicchio Francesco, nato a Ostuni (Brindisi); Avellino Luigi, nato a Civitavecchia; Aloè Nicola, nato a Longobardi (Casetta); Barbierato Umberto, nato a San Martino di Venezze (Rovigo); Bellanza Giovanni, nato a Mussomeli (Caltanisetta); Berti Giuseppe Ottavio, nato a Pianiga (Vicenza); Bertela Giuseppe, nato a Salle delle Langhe (Cuneo); Bianco Rosario, nato a
UN VIDEO-GIOCO SLOVENO SULLE FOIBE
Proprio nei giorni in cui, in Italia finalmente si arrivava, dopo tanti anni di silenzi, alla decisione di commemorare le vittime delle foibe, con un riconoscimento unanime di quegli orrori, la scoperta che su internet era stato pubblicato un macabro videogame per l'infoibamento virtuale.
Il sito internet sloveno della testata Mladina (83) offre, a tutt'oggi, sebbene gli abbiano cambiato il nome da Fojba 2000 a Sprava 2004), in un link, una versione particolare del famoso gioco Tetris, dove invece delle solite figure geometriche da far cadere, incastrare fra loro ed eliminare, ci sono delle persone, che vengono gettate con un calcio in una cavità carsica.
L'abilità, in questo caso, consiste nel riuscire ad infoibare il maggior numero di persone occupando il minor spazio possibile.
Il giocatore può scegliere di buttare nella foiba partigiani, domobranci oppure entrambi. Gli uni e gli altri, con una mitraglietta al fianco, sono riconoscibili dalla divisa: verde con la bandiera slovena e la stella rossa quella dei partigiani, azzurra con la bandiera slovena quella dei domobranci.
Un gioco di pessimo gusto al quale hanno partecipato, dall'agosto del 2000, quando e' nato il sito on line del settimanale, ad oggi, più di 55.000 persone.
Appello alle Amministrazioni tutte affinchè verifichino la presenza di monumenti, targhe, intitolazioni che in qualsivoglia maniera risultino celebrative dell’occupazione jugoslava di Trieste dal 1 maggio 1945 al 12 giugno 1945 e dispongano la rimozione di tali monumenti, targhe e intitolazioni in quanto in contrasto con la Legge 30 marzo 2004 n. 92 - Raccolta di firme anche su facebook
LE PENSIONI INPS AGLI AGUZZINI
Secondo un'inchiesta de "Il Giornale" (81) del 1996, l'INPS avrebbe erogato annualmente quasi 30.000 pensioni, per un totale di più di 100 milioni di euro, agli assistiti residenti nell'ex Jugoslavia, anche a coloro che sono stati artefici di deportazioni, rastrellamenti e stragi. Criminali di guerra responsabili del massacro o dell'esodo di migliaia di italiani. Fra le persone che godono o hanno goduto dei benefici INPS, risultano infatti anche alcuni responsabili della pulizia etnica perpetrata dai partigiani titini contro gli italiani.
L'inchiesta venne ripresa nel 2000 da Biloslavo (82):
Il torturatore di Tito, Nerigo Gobbo, 79 anni, residente in Slovenia, nel maggio giugno 1945 è stato responsabile di Villa Segrè a Trieste, luogo di tortura delle milizie titine. Gobbo gode della pensione Inps VOS 50306726: il comandante "Gino" ha diritto a incassare dalla sede Inps di Trieste 532.500 lire di pensione per tredici mensilità. La sua domanda presentata nell'80 è stata accolta sette anni più tardi e l'Inps gli ha versato circa trenta milioni di arretrati.
Ciro Raner, comandante nel 1945-46 del lager di Borovnica vicino a Lubiana, ottantatreenne, forse deceduto, ultimo domicilio conosciuto in Croazia. Secondo il racconto di un sopravvissuto, le deposizioni scritte degli ex deportati e un documento del ministero degli Affari esteri, Raner è stato uno degli infoibatori più truci (…). Gode della pensione Inps VOS 50557306: dopo aver ottenuto cinquanta milioni di lire di arretrati, ha diritto dal 1987 a una pensione a carico della sede Inps di Trieste che ammonta a 569.750 lire per tredici mensilità.
Boro, lo sterminatore, abita in Slovenia, è Franc Pregelj, 81 anni: commissario politico del IX Corpus del maresciallo Tito a Gorizia, è stato indicato come boia dai familiari delle vittime e da un documento del Pci. Dal primo maggio al 9 giugno 1945, il comandante "Boro", alias Franc Pregelj, era il commissario politico del IX Corpus dell'esercito partigiano iugoslavo che aveva occupato Gorizia. Riceve la pensione VOS 50587846: ha diritto a 569.650 lire di pensione dalla sede Inps di Gorizia, dopo aver incassato 45 milioni circa di arretrati.
Come si può essere del tutto asimmetrici invocando la simmetria !? Ce lo insegna, maestro d’eccezione, Boris Pahor -96 anni scrittore triestino di lingua slovena- che nel suo intervento su “Il Piccolo” del 23 marzo ’09 a proposito delle giornate della memoria indica proprio la via della “simmetria” per chiudere i conti con il passato. Lo fa elencando tutta una serie di misfatti (ovviamente) italiani commessi nel periodo del ventennio fascista e lo fa invocando una divulgazione più ampia possibile della conoscenza di questi crimini in particolare nelle scuole italiane. Bene, dopo aver parlato delle nefandezze italiane ci si aspettava, girando pagina, di trovare un altro suo intervento che “simmetricamente” mettesse in luce quelle che furono le azioni criminali dei partigiani comunisti titini filojugoslavi. Niente di tutto ciò, ma nemmeno nel suo intervento non vi è traccia non solo di un commento sui metodi della armata popolare di Jugoslavia ma nemmeno vengono mai riportate le parole “comunismo”, “Tito” e “Jugoslavia”.
I PROCESSI: LA GIUSTIZIA NEGATA
Dopo il fallimento, nell'immediato dopoguerra, dei tentativi di avviare processi per le deportazioni e gli infoibamenti, l'intricata vicenda giudiziaria si rimise in moto solo 50 anni più tardi, il 15 giugno 1994, quando l'avvocato Augusto Sinagra presentò denuncia formale per gli eccidi avvenuti nella Venezia Giulia.
Sinagra, dopo aver raccolto le testimonianze dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti, le consegnò alla procura di Roma insieme ai nomi dei carnefici, tutti esponenti della famigerata OZNA. Fra gli altri: Oskar Piskulic, Iovo Mladenic, Vicko Larkovic Minarci, Milan Cohar, Norino Nalato e Giuseppe Domancic.
Il Pubblico Ministero Gianfranco Mantelli, ricevuta la denuncia, incaricò i carabinieri di svolgere un'indagine sulla questione.
Mesi di ricerca presso gli archivi della Marina, delle questure e delle stazioni dei carabinieri portarono alla raccolta di molte informazioni e alla scoperta di migliaia di denunce dimenticate, presentate dai familiari delle persone scomparse.
Il Pm Mantelli però, promosso ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia, non ebbe mai la possibilità di concludere quelle indagini.
Al suo posto venne nominato il Pm Giuseppe Pititto.
Lo storico Marco Pirica, in qualità di Presidente del Centro studi Silentes Loquimur, fornì agli inquirenti un archivio contenente fotografie degli scomparsi, schede personali di più di quattromila desaparecidos e anche importanti documenti sui presunti responsabili. Tra questi, oltre a quelli già segnalati da Sinagra, emerse anche la figura di Ivan Motika, detto "il giudice" ed i nomi di ben 300 "guardie del popolo", esecutori materiali della pulizia etnica.
Ivan Motika fu il presidente del "Tribunale del popolo" che decideva il destino degli italiani.(72)
I governi di Slovenia e Croazia non presero bene l'apertura dell'inchiesta.
Il ministro sloveno Zoran Thaler e l'ex ministro degli Esteri croato, Zvonimir Separovic, sostennero che l'inchiesta romana avrebbe potuto peggiorare i rapporti tra i loro paesi e l'Italia e che si trattava di un'iniziativa di carattere elettorale.
Separovic inoltre, dopo aver auspicato che l'inchiesta non nascondesse in realtà un pretesto per aprire una campagna anticroata, ammonì l'Italia ricordando che lo zelo nella ricerca della verità storica avrebbe potuto portare a parlare dei campi di concentramento fascisti in Istria e Dalmazia, che pure, a suo parere, avevano avuto carattere di genocidio.
A dare man forte alle tesi slovene e croate arrivò la replica del croato Ivan Motika, uno degli indagati più in vista.
L'ex magistrato, all'epoca ormai ultraottantenne e residente a Zagabria, respinse decisamente le accuse e si dichiarò un antifascista che non aveva commesso alcun crimine.(73)
Giuseppe Pititto, titolare dell'inchiesta, non si scoraggiò e sostenne di avere il
dovere di accertare se nei fatti denunciati sono ravvisabili estremi di reato e il dovere di cercare di individuare i responsabili. Ciò perché in Italia vige il principio dell'obbligatorietà penale.(74)
La federazione degli esuli di Istria, Fiume e Dalmazia, per voce del vicepresidente Denis Zigante, respinse al mittente l'illazione che l'inchiesta potesse nascondere finalità politiche.
Esiste invece una forte richiesta di verità sul problema delle foibe. Soltanto quando si sarà fatta completa chiarezza, sarà possibile evitare strumentalizzazioni di ogni tipo.(75)
Dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri sloveno, Thaler, che aveva accusato il magistrato di condurre un'operazione elettorale per favorire la destra in vista delle imminenti consultazioni, il Pm Pititto, a causa dell'inchiesta sulle stragi compiute dai partigiani di Tito tra il '43 e il '47 ricevette anche minacce di morte e dovette essere messo sotto scorta.
''Hai voluto fare il vendicatore delle persone morte nelle foibe (…), adesso c'è una fossa anche per te''.(76)
Pititto, in un'intervista rilasciata alla Rai, rivelò lo stato di isolamento e di scarsa collaborazione in cui era stato relegato
Mi chiedo perché lo Stato italiano per 50 anni non ha fatto questo processo, mi chiedo perché lo Stato italiano non sorregga il magistrato che in questo momento finalmente fa questo processo mi chiedo perché la stampa italiana voglia mantenere il silenzio su questa che è certamente una vergogna per questo Paese. (77)
In un intervista ad un quotidiano egli, annunciando il rinvio a giudizio degli imputati, dichiarò che dagli atti in suo possesso risultava che fossero stati uccisi donne e bambini, sacerdoti e partigiani. Tutti solo perché "colpevoli" di essere italiani.: Nel gennaio del 1997, la Provincia di Trieste si costituì parte civile e nel mese successivo iniziarono le ricerche di fosse comuni nelle valli del Natisone dove aveva a suo tempo agito la divisione partigiana Garibaldi-Natisone agli ordini del IX Corpus di Tito e responsabile della strage di Porzus. Furono diverse le fosse comuni trovate.
A maggio del 1997, il giudice per le indagini preliminari, Angelo Macchia, diede parere negativo alle richieste di rinvio a giudizio, sostenendo che nel periodo 1943-1945 l'Italia non aveva sovranità sui territori dell'Istria, di Fiume e di Zara.
Nel luglio dello stesso anno, l'avvocato Maurizio Sinagra, tentò, senza successo, di far ricusare il giudice Macchia.
Successivamente, Pititto ricevette pesanti "inviti", sostenuti da nuove minacce di morte, a non impugnare la sentenza della Corte d'Appello. Pesanti intimidazioni arrivarono anche ad un avvocato delle vittime.
A sostegno di Pititto si schierarono 40 parlamentari del Polo e della Lega e Il Pm e i legali di parte civile, rappresentanti delle vittime, nonostante le minacce, presentarono ricorso il 22 aprile del 1998, ottenendo, da parte dei giudici della prima sezione penale della Cassazione, l'annullamento della sentenza di non luogo a procedere contro i presunti responsabili della morte di migliaia di italiani gettati nelle foibe.
Il 18 settembre dello stesso anno il Gip di Roma Claudio Tortora rinviò a giudizio Ivan Motika e Oskar Piskulic.
Il 15 marzo 2000, a tre anni dalla conclusione delle indagini, dopo tre pronunciamenti del Gip e l'annullamento di un rinvio a giudizio, il Gip di Roma, Roberto Reali, rinviò nuovamente a giudizio il croato Oskar Piskulic, unico dei tre imputati della procura di Roma per i fatti avvenuti tra il 1943 e il 1947 rimasto in vita, con l'accusa di omicidio plurimo.
Chiamato davanti alla prima corte di Assise della capitale, il Gip accolse la richiesta del Pm Pititto di contestare a Piskulic, all'epoca dei fatti capo della OZNA, la polizia politica jugoslava, l'accusa di
aver diretto l'attività criminosa cagionando con premeditazione la morte, per il solo fatto che erano italiani e perciò per motivi abietti, degli antifascisti Nevio Skull, a cui spararono un colpo alla nuca, Giuseppe Sincich, che uccisero a colpi di mitra seviziandone il corpo, e Mario Blasich, che strangolarono nel suo letto e perciò agendo con crudeltà verso le persone.(78)
Pititto rendendo noto alla stampa il suo trasferimento d'ufficio, deciso dal CSM per contrasti con il procuratore di Roma Salvatore Secchione, in un'intervista rilasciata a "Il Giornale", dichiarò
Quei magistrati italiani che sono la stragrande maggioranza e che non accettano di rendersi funzionali al disegno politico della sinistra, oggi si ritrovano privi di tutela proprio in sede a quell'organismo che per primo dovrebbe garantirgliela. E' disarmante dirlo, ma è cosi (…) Davo fastidio, mi hanno fatto fuori.(79)
L'11 ottobre 2001 Piskulic venne riconosciuto colpevole.
La Corte d'Assise di Roma lo riconobbe colpevole di "delitto politico premeditato ma non provocato dall'odio etnico" e, pur riconoscendolo responsabile dell'omicidio dell'autonomista di Fiume, Giuseppe Sincich, dichiarò il reato estinto per amnistia.
Il 4 dicembre 2002 la Corte d'Assise d'Appello, in applicazione della legge Cirami, sospese il processo, che sarebbe dovuto riprendere dopo la decisione della Cassazione.
Il 15 aprile del 2003 la prima Corte d'Assise d'Appello di Roma dichiarò la cessata giurisdizione.
La conclusione definitiva della tanto lunga quanto farraginosa vicenda giudiziaria arrivò con la sentenza definitiva della Corte di Cassazione, la quale ribadì, ancora una volta
l'Italia non ha titolo, per difetto di giurisdizione, per giudicare il cittadino croato Oskar Piskulic.(80)
Nello stesso mese, se da una parte la Cassazione scriveva la parola fine sulla vicenda giudiziaria riguardante i dirigenti dell'OZNA in Istria, un'altra procura italiana, quella di Bologna, apriva un'inchiesta sui reati commessi in quello stesso periodo, nella stessa area.
La morte di 202 civili e 635 militari italiani, fatti prigionieri e poi uccisi nelle foibe a Gorizia, tra il maggio e il giugno 1945, vide come indagato Franc Pregelj, ormai ultraottantenne, residente in Slovenia, conosciuto come "comandante Boro'', allora Commissario politico del IX Corpus di Tito.
L'inchiesta era stata avviata dalla Procura militare di Padova ed era arrivata a risultati che sembravano preludere ad una richiesta di rinvio a giudizio per Pregelj. Un'eccezione della difesa, però, accolta dalla Cassazione, fece passare il fascicolo alla giustizia ordinaria.
L'inchiesta approdò alla Procura di Gorizia, ma, essendo una delle vittime padre di un magistrato esercitante nella stessa Procura, dovette essere nuovamente trasferita, approdando sul tavolo dei colleghi bolognesi, competenti ad indagare in caso di coinvolgimento (in questo caso come parte danneggiata) di magistrati del Friuli Venezia Giulia.
Se da un lato la magistratura italiana attraverso la sentenza definitiva della Corte di Cassazione stabiliva la cessata giurisdizione e di conseguenza l'impossibilità per la giustizia italiana di perseguire i responsabili degli eccidi perpetrati in Istria, a Fiume ed in Dalmazia durante e dopo la guerra, dall'altro l'INPS poteva invece erogare la pensione e tutti gli arretrati relativi agli stessi ex imputati.