Trieste e il Governo Militare Alleato
"La Lega Nazionale invita la cittadinanza ad esporre il tricolore". Bastavano queste poche parole perché il giorno dopo Trieste fosse tutta avvolta di bandiere e perchè la strade e le piazze della città di San Giusto si riempissero di cittadini bramosi di esprimere e testimoniare la propria identità italiana.
Durante il periodo del Governo Militare Alleato - G.M.A. la situazione politica triestina presenta una serie di evoluzioni. Protagonista numero uno dello scenario politico è senz'altro quello che abbiamo definito come il "partito italiano, che nella Lega Nazionale ha un suo strumento primario e che, in termini elettorali, rappresenta circa due terzi della popolazione".
Per costoro è pacifico che l'arrivo degli Alleati, nella primavera del '45, fosse stato salutato come la vera e propria "liberazione", perché poneva fine ai quaranta giorni di occupazione titina ed all'incubo del terrore e delle foibe. Gli Alleati - Inglesi ed Americani - avevano continuato ad essere sentiti come amici e protettori, anche nella fase immediatamente successiva, quella cioè nella quale il nuovo assetto mondiale della guerra fredda si era oramai esplicitato in tutta Europa. Era evidente che gli Italiani di Trieste non potevano non stare con l'Occidente. Anche perché era altrettanto evidente che il partito avverso - quello slavo-comunista - stava dall'altra parte, con lo schieramento dell'Oriente di Giuseppe Stalin. Siamo nel 1948, quando con la famosa Nota Tripartita del 20 marzo Stati Uniti, Inghilterra e Francia fanno proprie le tesi italiane che reclamano la restituzione all'Italia di tutto il Territorio Libero, vale a dire non solo Trieste e la sua Zona A ma anche quella Zona B sottoposta all'amministrazione jugoslava. Tale presa di posizione degli Alleati era certamente finalizzata, nella tempistica, a dare una mano a De Gasperi per le imminenti elezioni del 18 aprile, ma rispondeva altrettanto coerentemente alla logica della guerra fredda: si trattava comunque di far arretrare la cortina di ferro, dal confine di Trieste a quello sul fiume Quieto.
Lo scenario comincia però a cambiare: Stalin caccia dal Cominform il comunismo jugoslavo, reo di divergenze sui programmi balcanici dell'URSS. Improvvisamente il ruolo internazionale del Maresciallo Tito subisce una drastica metamorfosi: era uno dei più fedeli ed ortodossi tra i leader comunisti, diventa di colpo l'eretico ed il revisionista (nei paesi dell'Est, all'epoca, si va in galera o al muro per l'accusa di "titoismo"). Tito dà così avvio a quel mirabile gioco delle tre carte che egli riuscirà a portare avanti fino al momento della sua morte: in politica interna sempre e comunque comunista (con quegli alti e bassi, nella gestione poliziesca del potere, che appartiene a tutti i regimi di quel tipo); in politica estera una posizione terzista tra i due schieramenti, che prenderà il nome di "non allineati" o di "paesi neutrali" (ma che avrà al suo interno anche la Cina di Mao); per quanto riguarda la politica militare, infine, un progressivo anche se non dichiarato allineamento con la Nato, a cui il Maresciallo Tito saprà abilmente "vendere" la supposta capacità di contrapporre una efficace guerriglia all'eventuale arrivo di truppe sovietiche.
Questa novità, introdotta dal divorzio Stalin-Tito, gioca chiaramente anche sui riflessi internazionali della situazione triestina. La nota tripartita del 20 marzo '48 appare sempre più svuotata di vera volontà politica. Per la nazioni Alleate la priorità è ora quella di tessere nuove trame con Belgrado, non certo di spostare la cortina di ferro. L'Italia è l'alleato ormai pacificamente acquisito; mentre la Jugoslavia è il soggetto da blandire ed agganciare (ambienti diplomatici statunitensi arrivano, addirittura, a dichiararlo esplicitamente ad interlocutori Italiani).
L'opinione pubblica triestina tutto ciò lo avverte e non è un caso che, 1952, proprio la ricorrenza della Nota Tripartita determini nella città giuliana dei disordini di particolare gravità. Partiti e associazioni avevano organizzato una manifestazione al teatro Verdi, per ricordare gli impegni presi dagli Alleati quattro anni prima. In conclusione della manifestazione la banda della Lega Nazionale doveva tenere in piazza Unità un concerto (regolarmente autorizzato). Vi fu invece l'intervento, estremamente energico e brutale, della polizia per disperdere la folla all'uscita dal Teatro. I disordini di piazza durarono per altri due giorni con il susseguirsi di scontri e l'immancabile assalto alla sede degli Indipendentisti (visti dai più come i prezzolati da Tito). Gianni Chicco, che ricostruisce la vicenda, riferisce che, secondo la stampa britannica, le persone scese in piazza per ascoltare il concerto della banda (della Lega) si erano trovate coinvolte in una manifestazione e violentemente caricate dalla polizia che non aveva neppure usato i microfoni prima di caricare. Sempre Chicco cita quanto scritto da The Times del 25 marzo "…Poiché gli ufficiali comandanti la polizia nella Piazza erano tutti britannici, gli Italiani sono ora convinti che la Gran Bretagna da sola favorisca la Jugoslavia alle spese dell'Italia."
Di sicuro questa è l'occasione nella quale - per gli Italiani di Trieste - da un lato si incrina la fiducia nella tutela degli Alleati e dall'altro si genera anche il distinguo tra Inglesi ed Americani, vedendo nei primi quelli (anche storicamente) più vicini a Tito, nel mentre gli Americani continuano ad essere sentiti come amici e protettori. Certamente il rapporto della popolazione italiana con il Governo Militare Alleato appare ormai incrinato. Anche se, sullo sfondo, resta una sorta di equivoco di base (vi resterà fino alla fine): gli scontri avvengono tra la piazza ed i poliziotti del Governo Militare, ma tutti sanno bene che il vero nemico è altrove. Non è un caso che l'avversione si concentri sulla Polizia Civile, sospettata - a torto o a ragione - di grosse infiltrazioni di elementi filo Jugoslavia.
Sempre nel lavoro di Chicco si trova un'altra significativa citazione, tratta dal The Daily Telegraph del 13 marzo 1953: "Uno scolaro che sta lanciando pietre ai Britannici è rappresentato su una medaglia che l'italiana irredentista Lega Nazionale ha coniato in ricordo degli scontri dell'anno passato a Trieste. Sfortunatamente, non è questo il solo segno per cui ci potranno essere ancora disordini quest'anno… nell'anniversario della Dichiarazione della Tre Potenze del 1948 che suggeriva un possibile ritorno di Trieste all'Italia". La previsione del giornale britannico si rivelerà peraltro erronea. Vi erano stati sì degli scontri, nella giornata dell'otto marzo 1953, ma riferibili essenzialmente ad un singolo partito (a conclusione di un comizio del Movimento Sociale).
La scadenza del 20 marzo passò invece senza disordini o manifestazioni. Dai verbali della Lega Nazionale risulta chiaramente che questa fu una scelta consapevole: c'era la convinzione che forse qualcosa si stesse movendo e quindi fosse preferibile stare ad attendere. Sicchè i dirigenti della Lega, dopo averne discusso, decisero di non lanciare quello che era una sorta di codice di comunicazione con i cittadini italiani di Trieste: la pubblicazione sul quotidiano locale di un semplice annuncio "La Lega Nazionale invita la cittadinanza ad esporre il tricolore". Non serviva altro; bastavano queste poche parole perché il giorno dopo Trieste fosse tutta avvolta di bandiere e perchè la strade e le piazze della città di San Giusto si riempissero di cittadini bramosi di esprimere e testimoniare la propria identità italiana, sovente con il tricolore al collo.
Passa comunque la scadenza del 20 marzo, si arriva all'8 ottobre '53 quando, una nuova nota alleata interviene sulla questione Trieste. Questa volta è solo bipartita, perché proviene da Inglesi ed Americani, ed ha quale contenuto non il destino di tutto il territorio, ma solo l'intenzione di lasciare all'Italia l'amministrazione su Trieste.
La dichiarazione non può certo avere effetti particolarmente rassicuranti sugli Italiani di Trieste: costituisce infatti una implicita sconfessione di quel di più che era stato dichiarato nel '48 e non c'è neppure la minima garanzia che, questa volta, alle parole seguiranno i fatti. Perplessità, in realtà, decisamente ben fondata, se è vero che il progetto iniziale era che gli anglo-americani passassero i poteri all'Italia contestualmente alla pubblica dichiarazione; poi invece, con evidente marcia in dietro, si scelse di rendere pubblica l'intenzione, senza però definire le modalità ed i tempi di attuazione.
Il tutto da inserirsi nel braccio di ferro in atto tra governo di Belgrado e governo di Roma (il presidente del Consiglio era Giuseppe Pella) con schieramento di carri armati ai rispettivi confini.
Che il "caso Trieste" stesse avviandosi ad una conclusione era abbastanza percepibile; quale sarebbe stato tale esito era però tutt'altro che scontato. Quanto avrebbe giocato la supposta divaricazione tra Stati Uniti ed Inghilterra? Quanto sarebbe riuscita a spostare i baricentri decisionali la politica, abile, spregiudicata, levantina del Maresciallo di Belgrado? Quale avrebbe potuto essere il ruolo assegnato alla quinta colonna della Jugoslavia che operava in città, nello schieramento degli "slavi-comunisti", magari nelle vesti di celebratori della "liberazione" del 1 maggio 1945?
In tale situazione, con questi angosciosi interrogativi nel cuore, il partito italiano di Trieste, la stragrande maggioranza dei suoi cittadini reagì non attivandosi "contro" un qualcuno o un qualcosa. Scesero in piazza "per": fu una sorta di esplosione di amore per il Tricolore. Quel tricolore che la Polizia Civile fece rimuovere dal palazzo del Municipio, quello che gli stessi poliziotti strapparono dal collo di cittadini che ritornavano da Redipuglia.
Il Tricolore, esposto alle finestre su invito della Lega Nazionale, divenne la causa formale e sostanziale dei disordini, degli scontri, dei caduti del novembre 1953. Simbolo di tutto ciò è un cimelio religiosamente conservato alla Lega Nazionale. Si tratta di una bandiera con il bianco, il rosso ed il verde segnati dal tempo; ben visibili le macchie di sangue, ben visibili i fori anneriti della pallottole. La portava al collo Severio Montano, assassinato a Trieste in piazza Unità il giorno 6 novembre 1953. E' stata affidata dalla figlia alla Lega Nazionale, perchè Saverio Montano, come Pierino Addobbati, come Antonio Zavadil, come Erminio Bassa, come Leonardo Manzi, come Francesco Paglia erano tutti soci della Lega Nazionale.
Morti inutili o martiri del Risorgimento?
Taluno che, in tempi abbastanza recenti, ha preteso trattare di questi argomenti, in sede locale, ha prospettato la tesi che il sacrificio dei sei caduti del novembre '53 sarebbe stato inutile o addirittura dannoso. L'argomentazione - forse riconducibile a ricerca di originalità o magari a legami ideologici con il vecchio schieramento slavo-comunista - trascura innanzitutto un dato elementare e cioè che esattamente un anno dopo quel tragico novembre e cioè il 26 ottobre 1954 l'Italia ritornerà finalmente a Trieste e Trieste ritornerà finalmente all'Italia. E' ben vero che il criterio post hoc ergo propter hoc non è il massimo del rigore scientifico, ma è pure innegabile che è dai fatti e non dalle teorie che bisogna prendere le mosse.
Ed i fatti ci sono e possono essere piuttosto eloquenti; proviamo ad elencarne alcuni:
A conclusione di tutto questo, al di là di certe pseudo tesi (bizzarre o ideologiche, che siano) il dato solare ed indiscutibile è che quel Tricolore per il quale Trieste era scesa in piazza, per il quale in sei avevano sacrificato la vita (ed a centinaia erano finiti negli Ospedali o nelle Carceri o erano dovuto fuggire in Italia), quel Tricolore che nei momenti cruciali la Lega Nazionale invitava ad esporre alle finestre, dopo meno di un anno, dal 26 ottobre 1954, quel Tricolore ritornerà ad avere piena legittimità sulla città di San Giusto. Sarà, così, il coronamento di quella affermazione della propria identità italiana che ha caratterizzato i Triestini sia ai tempi della dominazione austriaca che nelle lunghe e travagliate vicende del secondo dopoguerra.
In realtà, leggere tale vicenda nella sola ottica di questa sorta di "passione italiana" delle genti giuliane (siamo inguaribilmente innamorati dell'Italia e non possiamo farci niente per non esserlo) risulta sicuramente vero, ma può essere anche parziale. La vicenda di Trieste ha riguardato certamente i Triestini, ma ha parimenti coinvolto, anche in termini oggettivi, l'Italia tutta.
Perché la data del 26 ottobre 1954 ha certamente significato, per Trieste, il ritorno alla casa materna (la madrepatria), ma anche per l'Italia tutta ha rappresentato il conseguimento di una completezza, il sanare un vuoto, il rimuovere una amputazione.
Quel anelito dei patrioti dell'ottocento, che aveva animato tutto il percorso risorgimentale, aveva un fine chiaro ed inequivocabile: realizzare l'unità territoriale della nazione italiana. Quel anelito ha trovato piena soddisfazione solo nel momento in cui l'Italia ha realizzato la sua completezza con il recupero delle città giuliana. Ciò è avvenuto grazie al sacrificio dei sei caduti del novembre 1953. Il loro martirio, la loro testimonianza col sangue sta dunque a significare anche il coronamento, il concludersi di tutto il processo risorgimentale. Per questo la Lega Nazionale reclama dallo Stato italiano il riconosciuto di ultimi martiri del Risorgimento italiano per Pierino Addobbati, Antonio Zavadil, Severio Montano, Erminio Bassa, Leonardo Manzi e Francesco Paglia.
Sarà un atto di giustizia, di riconoscimento della verità storica, di vera testimonianza di quanto la realtà della Patria possa e debba avere ancora diritto di cittadinanza nell'Italia di oggi.