Storie di preti dell’Istria uccisi per cancellare la loro fede

Terza edizione arricchita del libro di Ranieri Ponis «In odium fidei» pubblicato dalla Litografia Zenit
Il Piccolo 06/06/2006


Ranieri Ponis racconta gli avvenimenti con scorrevole taglio da cronista: nato a Pola, ma trasferitosi giovanissimo a Capodistria, è stato per trent'anni giornalista al «Piccolo», diventandone capo cronista e, infine, redattore capo. La sua sensibilità alle vicende istriane, che del resto ha personalmente vissuto, lo porta a non esentarsi dal fare commenti in prima persona su storie, che, per formazione professionale, narra attingendo ai ricordi, alle testimonianze dirette, alla rivisitazione dei luoghi.

Dopo i capitoli dedicati allo scomparso vescovo di Trieste Antonio Santin, a monsignor Edoardo Marzari (il don Bosco dei ragazzi esuli), a Marcello Labor, il prete medico di origine ebraica divenuto sacerdote dopo la morte della moglie e del quale è stato avviato il processo di beatificazione, sono molti altri i ritratti, ai più sconosciuti, di preti che si sono trovati dopo il secondo conflitto mondiale a immolare la loro vita nel turbinio delle vicende che vedevano opposti i nazisti e i titini nella tormentata terra istriana.

Don Francesco Bonifacio, i Benedettini di Daila, monsignor Giorgio Bruni, don Miro Bulesic, monsignor Giuseppe Dagri, don Angelo Tarticchio, padre Atanasio Cociancich, don Marco Zelco. Nomi e storie che Ponis ha raccontato per onorare la memoria di istriani che hanno sofferto e anche pagato con la vita il loro essere sacerdoti in tempi e terre divenuti barbari e ostili. La terza edizione, arricchita, del volume, è stato edito a cura del Centro culturale Gianrinaldo Carli aderente all’Unione degli Istriani, con disegno in copertina di Nevio Grio, che ne ha fatto omaggio all’associazione. In prefazione un intervento del Vescovo di Trieste monsignor Eugenio Ravignani: «Custodire la memoria è dovere / farla conoscere è saggezza». Una copia del libro è stata offerta a Papa Benedetto XVI durante l’udienza dello scorso 29 marzo concessa dal pontefice all’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e alla Famiglia Montonese.

Era di Montona d’Istria monsignor Luigi Bottizer, lì nato nel 1915, il cui fratello Ubaldo, giornalista, fu vittima dei partigiani nel 1944. Don Alfredo – rievoca Ponis – lo porterà a spalla per seppellirlo nel cimitero del villaggio natio. Nel 1946 i titini vogliono arrestarlo, lui scappa, riesce a raggiungere Trieste con il supporto degli anglo-americani. Ed è nel Gma (Governo militare alleato) che trova la sua collocazione come direttore della Caritas americana, «tutore attento e premuroso degli esuli istriani e dalmati, mano amica che si protende Oltreoceano». Fra i primi preti a Trieste a indossare il clergimen, cappellano dei vigili urbani triestini e del porto, si dà da fare per dirottare fondi dagli Usa nel dopo terremoto del 1976 in Friuli. Il 16 luglio del 1980 il suo cuore, in quel fisico possente che aveva, si ferma. Don Placido Sancin era stato parroco di San Dorligo della Valle, catturato nell’ottobre del 1943 dagli slavo-comunisti.

Sono ferite rimarginate, ma che hanno lasciato cicatrici. Nulla si è più saputo di lui. Ma improvvisamente la svolta: in una foiba di San Servolo, sovrastante San Dorligo-Dolina, fra varie ossa umane, vengono ritrovati brandelli di un abito talare e un colletto sacerdotale di celluloide. Si ancora indaga se fossero di don Placido. Infine, nel libro di Ponis, la storia di don Giuseppe Gabbana, cappellano militare della Guardia di finanza, un prete in divisa. Il 2 marzo del 1944 tre sicari bussano alla sua porta a Trieste in via dell’Istria 39, nel popolare quartiere di San Giacomo. Lui apre, gli scaricano i proiettili nell’addome, lo colpiscono alla tempia con il calcio dell’arma. Perché? Risponde Ponis: «Era un prete, amava la Patria, indossava una divisa».